DEMOCRAZIA, LEGALITA', PROGRESSO

lunedì 29 aprile 2013

RIFLESSIONI SUL MOMENTO POLITICO (I PARTE)



Esordisco chiedendo scusa a tutti per la mia poca presenza informativa negli ultimi mesi, dovuta all’impegno profuso nel mio ruolo politico\istituzionale di capogruppo e, nelle ultime settimane, anche ad impegni di lavoro.
Ci tengo a rappresentarvi alcune impressioni e riflessioni che ho maturato in questi giorni, in seguito agli ultimi avvenimenti.
La seguente pubblicazione va intesa come una prima parte di una trattazione più generale; essa espone le mie critiche e considerazioni circa gli ultimi eventi, mentre la seconda parte, che uscirà fra qualche giorno, conterrà alcune proposte per la ricostruzione.

"La libertà accordata ai soli partigiani del governo, la libertà accordata ai membri di un solo partito [...] non è una vera libertà. La libertà sarà sempre quella dell’uomo che pensa altrimenti. [...] La libertà perde ogni virtù appena diventa un privilegio ."

Rosa Luxenburg


Traditori? Non ho per niente apprezzato la definizione di “traditori” affibbiata a coloro che non hanno votato Romano Prodi come Presidente della Repubblica; se utilizziamo questo criterio allora sono traditori anche coloro che non hanno votato per Marini. Sono coerente nel dire che il “dissenso” non equivale a “tradimento”, visto che ho sempre difeso il dissenso e lo difenderò fino alla morte, come baluardo di democrazia. Gli eventi accaduti a Roma, in questi giorni, sono sorprendentemente simili ad altri che ho avuto modo di sperimentare nella mia dimensione territoriale. Il discrimine non è di essere fedeli a tutti i costi ad una “linea”, ma essere fedeli alla “ragione” ed al “buon senso”: si possono, cioè, fare valutazioni giuste o sbagliate, indipendentemente dalla linea, ma occorre essere consapevoli che gli elettori giudicheranno quelle scelte e che esse hanno sempre delle conseguenze. Quindi, quando si fa una scelta politica, essa deve essere ponderata con le armi della ragione.
In quest’ottica, sono profondamente convinto che NON votare Marini sia stata una decisione GIUSTA, NON votare Prodi sia stata una decisione SBAGLIATA e votare Napolitano sia stata una decisione PILATESCA e quindi SBAGLIATA! Non perché non si sia rispettata la linea (è accaduto in entrambi i casi), ma perché dovevamo essere consapevoli delle conseguenze che una decisione piuttosto che un’altra avrebbe comportato serie ricadute sull’opinione pubblica e la tenuta del nostro partito. Non poteva sfuggire che la candidatura di Marini sarebbe stata percepita come espressione di una classe dirigente in declino che non vuole mollare il potere e funzionale ad un accordo politico di governo con la destra berlusconiana. Di contro, Prodi rappresentava la scelta di un personaggio i cui valori e le cui azioni hanno contribuito alla costruzione ideale e fattuale del nostro partito, che in qualche modo ne rappresenta l’essenza più profonda e, soprattutto, che avrebbe significato la totale dissociazione rispetto a Berlusconi ed alla sua parte politica. Per brevità, eviterò di illustrare la mia opinione sulla tattica che sarebbe stato opportuno adottare (Rodotà, Zagrebelsky, 5S, ecc…), mi limiterò a fornire la seguente valutazione: se il mio ragionamento è fondato, i 101 (e dei quali non credo che si abbiano particolari difficoltà ad individuare, se non l’identità, almeno le affiliazioni correntizie) Grandi Elettori che NON hanno votato Prodi, non sono “traditori” ma semplicemente dei grandissimi “incompetenti” e/o “irresponsabili” perché, o non hanno capito che cosa stavano causando, oppure l’hanno capito ed hanno deciso scientemente di ignorare le conseguenze delle loro azioni!

Reset? Sono rimasto davvero piacevolmente impressionato nel vedere così tante persone partecipare ad assemblee del PD (non era mai accaduto) come quelle che abbiamo visto celebrare in questi giorni in tutto il paese e la “cosiddetta” base mobilitarsi per dare, finalmente, una prospettiva diversa al partito. In quelle circostanze è emersa tanta rabbia e qualche idea su cui siamo tutti d’accordo.
Ma chi erano le persone che hanno partecipato a quelle campagne? Quali erano le loro provenienze e sensibilità?
Erano le più disparate, un movimento trasversale nel partito e questo non può che essere un bene.
In questa fase, lo scontro interno non è fra Ex DS o Ex Margherita, non fra popolari o progressisti, tra Renziani e Barchiani, ma è uno scontro generazionale fra la classe dirigente dell’ultimo ventennio, che ci ha portati al disastro, e le “nuove leve”.
Già, ma chi sono queste nuove leve? Come ho detto si tratta di un movimento trasversale che contiene esponenti con sensibilità molto diverse. Questo tipo di aggregazione va molto bene per abbattere e sgomberare le macerie, ma è in grado davvero di costruire qualcosa di nuovo? Siamo sicuri che tutte le persone che hanno dato vita a questo movimento abbiamo la stessa idea di quale partito occorra ricostruire?
Il fatto è che molti di coloro che oggi urlano che tutti i dirigenti del PD “devono andare a casa”, sono proprio coloro che fino a ieri hanno graniticamente, aprioristicamente ed irrazionalmente difeso quello stesso gruppo dirigente che ora vogliono abbattere. Sia chiaro che il discorso non si esaurisce in una dialettica renziani\bersaniani o rottamatori\conservatori, perché anche in occasione della campagna per le primarie, vi furono approcci molto differenti nel sostenere la candidatura di Bersani: chi lo fece perché legittimamente convinto che Bersani rappresentasse una piattaforma politica più progressista in cui si poteva riconoscere maggiormente (con il risultato che ora si trova un governo Letta insieme alla destra) e chi si limitava ad accusare Renzi di “sfasciare il PD” e di essere “amico di Berlusconi” (in questi giorni abbiamo finalmente capito chi è che sfascia il PD ed è amico di Berlusconi); soprattutto, c’è chi ha interpretato il ruolo di “sostenitore” e chi di “pretoriano”, con urla, accuse ed insulti gratuiti nei confronti di Matteo Renzi e di chi lo sosteneva. Certo, fa quantomeno sorridere sentire Orfini proporre la candidatura di Renzi a Premier (un chiaro tentativo di bruciarlo per una futura competizione elettorale) dopo tutti gli insulti rivolti da lui e dai suoi al sindaco di Firenze.
Cambiare idea non è solo giusto, ma anche salutare, eppure la coerenza dovrebbe essere ancora un criterio di valutazione politica. In questo partito vi sono molti che hanno lottato per affermare una rivoluzione metodologica e di persone, mentre altri hanno cominciato a dire (o meglio urlare) queste cose, solo ora. Direi che questi ultimi hanno, quantomeno, un grosso problema di credibilità…
Infatti, tornando alla domanda che ponevo sopranzi, io credo che queste due differenti personalità abbiano un’idea molto diversa circa quella che dovrebbe essere la forma politica che dovrebbe nascere da questa “ricostruzione”. Quindi, ritengo che sia opportuno fare una battaglia tutti insieme per esautorare questa nomenklatura e questo apparato, ma credo che dovremo porre molta attenzione a distinguere chi lo fa per convinzione (da tempo) e chi lo fa solo per ragioni tattiche; molto presto, occorrerà una grande chiarezza su dove si debba approdare e con quali compagni di bordo.

Letta: Governo a gestione familiare. Il Governo Letta è il punto naturale di approdo di un percorso politico avviato da molto tempo e, soprattutto, il coronamento del sogno di una certa nomenklatura, la stessa che ha silurato Prodi nel segreto dell'urna, i cui membri ad altro non hanno mirato, in questi anni, se non giungere a fare i ministri (a qualunque costo!). Ora ce l'hanno fatta (pochi in realtà, ma dobbiamo ancora attendere la nomina di viceministri e sottosegretari), ma la loro fissazione avrà, come conseguenza, la morte definitiva del progressismo in Italia. Alla fine, di tutti loro, l'unico ad avere pagato è il povero Bersani che doveva essere il loro traghettatore.
Enrico Letta è forse la rappresentazione più perfetta di tale sciagurato accordo. Da sempre rappresentante della prima linea e mezza della nomenklatura, una carriera, all’ombra del leader del momento per ottenere un posticino al sole (Ministro delle Politiche Comunitarie e, poi, dell’Industria, Sottosegretario alla Vicepresidenza del Consiglio, Vicesegretario del PD). Ma, soprattutto, nipote d’arte, esponente di una famiglia che ha fatto del tenere il piede in due scarpe la propria vocazione politica. Non è significativo che il governo sia presieduto dal numero due di Bersani, nipote del più prossimo collaboratore di Berlusconi? C’è qualche esponente del PD da cui quest’ultimo potrebbe sentirsi maggiormente rappresentato?
E dovrebbe essere chiaro a tutti che è Berlusconi l’unico vero vincitore di questa fase!
Esultiamo pure per il fatto di avere, finalmente, un governo (non ci saremmo potuti permettere di andare avanti senza), ma siamo consapevoli che questo governo segnerà la morte politica, non solo della nomenklatura (che se la meriterebbe), ma di tutto il campo progressista e quindi di tutti coloro, in particolare degli amministratori, che hanno una visione della politica e del partito TOTALMENTE discorde da questi signori dai quali non si sentono minimamente rappresentati.
Non mi permetterò di suggerire come comportarsi ai parlamentari sul voto di fiducia, anche in quanto, nel mio ruolo di Capogruppo, sono consapevole della difficoltà di dovere prendere decisioni delicate in circostanze difficili. Mi limito a svolgere due considerazioni.
In primo luogo, possiamo immaginarci di sostenere un governo di cui il vicepremier sia Alfano, Lupi ministro delle Infrastrutture o la Lorenzin ministro della Salute?
In secondo luogo, mi è parso di comprendere che la dirigenza del partito abbia lasciato intendere che coloro i quali non votano la fiducia al governo Letta sono “fuori dal partito”! Ora, che cosa significa ciò? Forse che chi non vota la fiducia sarà espulso? Ebbene signori, vi chiedo, chi merita maggiormente di essere espulso? Coloro che hanno portato alla rovina il partito ed il paese per occupare delle poltrone insieme agli uomini di Berlusconi, o coloro che non appoggerebbero un tale accordo scellerato? Credo che la domanda andrebbe posta in primis ai nostri elettori i quali DEVONO essere la sola fonte di legittimazione di una qualsiasi rappresentanza politica e credo che questi in maggioranza risponderebbero che sarebbero gli esponenti della prima delle due categorie ad essere, nei fatti, “fuori del partito”. Credo che, qualora qualche parlamentare decidesse di non votare la fiducia (come Civati!), dovrebbe essere orgoglioso di questo, rivendicare la reale rappresentanza degli elettori del PD e lasciare ai signori della nomenklatura l’onere di “espellerli”, di fonte all’opinione pubblica. Sarei curioso di vedere chi, fra i ribelli e la nomenklatura verrà rieletto al prossimo giro.

[CONTINUA…]



R. C. G. Tassone

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